Buone notizie per alcuni pensionati: prima di andare in pensione anticipata nel 2026, arriva per loro un aumento dello stipendio. Ecco cosa sta succedendo.
Vuoi alzare la busta paga adesso e poi mollare il lavoro in anticipo nel 2026? C’è un meccanismo poco noto che ti permette di trattenere soldi ogni mese e, se il quadro cambia davvero, di uscire prima senza rimpianti.

Ecco in cosa consiste questo stratagemma, legale, per aumentare lo stipendio prima di godersi il meritato riposo della pensione.
L’aumento di stipendio prima di andare in pensione anticipata nel 2026
Diciamolo chiaro: quando hai la pensione a un passo, il dubbio ti divora. Restare e rinforzare l’assegno futuro, o uscire subito per non “regalare” un altro anno alla scrivania? Nel frattempo i conti non tornano, le regole cambiano spesso e la paura di sbagliare mossa ti blocca.

Ti riconosci? La domanda è: come trasformare questa incertezza in un vantaggio concreto oggi, senza bruciarti l’uscita domani? Il problema da risolvere è semplice da descrivere e complesso da gestire: se hai già maturato i requisiti per la pensione, ogni mese in più al lavoro può essere un tesoretto… ma solo se usi lo strumento giusto. In migliaia stanno scegliendo l’incentivo al posticipo (chiamato dai media anche bonus Giorgetti), perché consente di aumentare lo stipendio subito e, nel frattempo, far crescere il montante contributivo su cui si calcolerà la pensione.
Tradotto: prendi il meglio di due mondi. Secondo i primi numeri riportati dalla stampa, sono già oltre 7.000 gli aderenti. Ma come si presenta di solito il dilemma? Hai i requisiti, magari con Quota 103 o con l’anticipata ordinaria, ma non ti convince l’uscita immediata perché temi il calcolo contributivo penalizzante o i vari tetti e finestre.
Intanto senti parlare di una possibile Quota 41 flessibile nel 2026, con un taglio lineare del 2% per ogni anno di anticipo rispetto ai 67 anni: un sacrificio ritenuto gestibile da molti, specie oltre i 62 anni, in cambio di un’uscita rapida. Nel frattempo, però, potresti sfruttare lo sgravio del 9,19% in busta paga: quella parte di contributi a tuo carico non viene versata all’INPS e resta nello stipendio, e — secondo le indicazioni INPS sull’incentivo al posticipo — non aumenta il reddito imponibile né l’ISEE, mentre il datore continua a versare la sua quota (circa il 33%) che alimenta il tuo montante contributivo. E qui sta il trucco: più netto oggi, più pensione domani.
Ignorare il problema, però, costa. Se non prendi una decisione informata subito, rischi di perdere ogni mese quell’extra netto che potresti trattenere, e di arrivare al 2026 senza aver massimizzato i contributi utili. Tradotto in soldoni: rinunci a denaro immediato e a crescita dell’assegno futuro. C’è anche il rischio opposto: uscire d’impulso con l’opzione meno vantaggiosa e ritrovarti con una pensione più bassa per sempre, complice un calcolo penalizzante o un tetto all’importo. E non dimenticare le variabili da calendario: tra finestre mobili, scadenze e istruttorie, ogni mese pesa. Rimandare significa spesso “pagare” in tempo, denaro ed energie.
Mettiamo ordine, con i fatti. L’incentivo al posticipo consente a chi ha già maturato un diritto pensionistico di rimandare l’uscita e trattenere in busta paga i contributi a proprio carico (9,19%). È una misura operativa chiarita da INPS nelle sue circolari e messaggi dedicati, e ripresa dai principali quotidiani economici. Il vantaggio è doppio: busta paga più alta subito e montante contributivo che cresce perché l’azienda continua a versare la sua quota. Non è un dettaglio: i coefficienti di trasformazione migliorano con l’età e ogni ulteriore mese di contributi può fare la differenza nel calcolo contributivo futuro.
Guardando al 2026, il discorso si fa interessante. Se — e solo se — verrà approvata una Quota 41 flessibile, molti che oggi stanno sfruttando lo sgravio potrebbero decidere di uscire prima. L’ipotesi discussa prevede un taglio del 2% per anno di anticipo rispetto ai 67 anni: chi ha già compiuto i 62 potrebbe considerarlo accettabile, soprattutto dopo aver incassato per mesi l’extra in busta paga e aver rafforzato la posizione contributiva. Non è fantascienza, ma neppure legge oggi: è un cantiere aperto. E proprio per questo vale la pena prepararsi adesso, così da essere pronti a premere il pulsante giusto quando le regole saranno nero su bianco.

Come si traduce tutto questo in una mossa pratica? Prima cosa: verifica puntuale dei requisiti su MyINPS (estratto conto e simulazioni) o con un patronato. Seconda: calcola il beneficio dello sgravio del 9,19% mese per mese sul tuo netto; molti scoprono che si tratta di cifre non banali. Terza: metti a confronto gli scenari di uscita — restare con l’incentivo fino a fine 2025 e poi valutare l’eventuale Quota 41 flessibile nel 2026, oppure utilizzare gli strumenti già esistenti come Quota 103, l’anticipata ordinaria (42 anni e 10 mesi, 41 e 10 per le donne) o, nei casi previsti, misure come APE Sociale.
Ogni profilo ha la sua strada migliore: dipende da età, contributi, retribuzione, eventuali tetti e decorrenze. Qui entra in gioco l’urgenza. Ogni busta paga che passa senza scegliere è un’opportunità che scivola via. Se hai i requisiti, attivare l’incentivo al posticipo oggi significa monetizzare da subito e, allo stesso tempo, tenerti aperta la porta per una pensione anticipata nel 2026 qualora la nuova misura entrasse in vigore. Se invece decidi di uscire ora senza aver fatto due conti seri, potresti legarti per sempre a un assegno più magro. E quando parliamo di pensione, “per sempre” non è un dettaglio.
Chiusura operativa? Eccola. La soluzione più solida è in tre passi: verifica dei requisiti su INPS, simulazione comparata degli importi con e senza sgravio 9,19%, e confronto con un patronato o consulente del lavoro per quantificare l’impatto di Quota 103, anticipata ordinaria e l’eventuale Quota 41 flessibile con taglio del 2% per anno di anticipo. Incrocia i dati con le tue priorità: vuoi massimizzare il netto oggi, anticipare l’uscita domani o bilanciare entrambe? Ricorda che l’incentivo, come chiarito da INPS, non incide su reddito imponibile e ISEE, mentre il 33% aziendale continua ad alimentare il tuo montante contributivo: un combinato disposto che spesso si traduce in un “win-win” temporaneo.